“Vedrete che le farete”. L’innovazione senza limiti di Bruno Munari
gennaio 13, 2021
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Quando pensiamo al design come un mondo appartenente a un ampio universo fatto di grafica, pittura, scrittura, disegno industriale, cinema, letteratura, impossibile prescindere da una delle figure più importanti della storia italiana: Bruno Munari.

Siamo nel secondo dopoguerra quando, negli anni ’50 e ’60 del boom economico, l’immagine del designer contribuisce alla rinascita dell’economia grazie a un nuovo modo di comunicare.

Prima di allora, Munari, dopo alcune esperienze in studi di grafica, sperimenta nuovi modi di comunicare attraverso la contaminazione tra le arti, ed affiancando ai metodi e tecniche “tradizionali” nuovi modi di comunicare, anche attraverso il disegno “tecnico”.

Ne nasce un nuovo lessico che, partendo dalle primissime esperienze del Maestro con l’arte futurista, alla quale si avvicina grazie a Marinetti, e dalla quale si discosta già dagli anni ‘30, lo portano a immaginare il design come un’esperienza nella quale il fruitore non è solo passivo, ma interagisce attivamente con l’opera progettata. esempi di questo nuovo operare sono la “Macchina aerea” del 1930 e le “Macchine inutili” del 1933.

Nel 1939, e fino al 1945, Munari lavora come grafico presso la Mondadori Editore, e come art director per la rivista “Tempo”. Proprio queste esperienze sono cruciali per capire la nascita e l’evoluzione dell’editoria di Munari, che da qui inizia a scrivere libri, con attenzione all’età dell’infanzia e con pubblicazioni inizialmente pensati per suo figlio.

Nel 1948 fonda, insieme a Gillo Dorfles, Gianni Monnet e Anastasio Soldati il “Movimento Arte Concreta” (MAC) che funge da catalizzatore proprio delle idee astrattiste attraverso la convivenza tra l’arte e la disciplina tecnica.

Durante gli anni ‘50, Bruno Munari prosegue la sua idea di contaminazione tra le arti realizzando la serie di “Negativi Positivi” come esempio di convivenza tra arte astratta e grafica, e le “Macchine aritmiche” (1951).

Ma gli anni ‘50 sono importantissimi anche per l’evoluzione del linguaggio editoriale (è in questo periodo che Munari inizia a realizzare i suoi “Libri illeggibili”, completamente privi di testo) e della fotografia, con la serie “Polariscopi” che sfruttano la scomposizione della luce sulle pellicole Polaroid.

Il vulcano della creatività per Munari non si arresta, e negli stessi anni il Maestro esplora e ingloba nella sua arte temi come la luce, la natura e il gioco.

Realizza diverse serie di opere che fanno riflettere, divertire, immaginare, fantasticare: nel 1952 realizza i “Giocattoli d’artista”, nel 1953 il “Mare come artigiano” che utilizza oggetti lavorati dal mare, mentre sono del 1955 le composizioni astratte “Oggetti immaginari”. Il 1958 vede la nascita delle celebri “Forchette parlanti” con i loro rebbi modellati e piegati, e della rivoluzione scultorea con le “Sculture da viaggio”, mentre nel 1959 gli affascinanti “Fossili del 2000” pongono una riflessione sulla tecnologie moderna inserendo, in un’ideale ambra, chip, transistor e componenti tecnologiche.

Gli anni ‘60 vedono il Maestro trovare nuova linfa creativa dallo spirito zen approfondito durante i suoi frequenti viaggi in Giappone. La cultura per l’arte e la spiritualità ad esso legate, loportano a progettare opere come la “Fontana per cinque gocce”: una fontana che richiama il giardino zen e sulla quale cadono gocce di acqua il cui suono viene amplificato da microfoni posti sott’acqua.

Ma gli anni ‘60 sono anche anni di grande sperimentazione, durante i quali Munari utilizza ad esempio la macchina fotocopiatrice, oppure si dedica con ingegno alla cinematografia innovativa: ne nasce addirittura un laboratorio cinematografico, la “Cineteca di Monteolimpino – Centro internazionale del film di ricerca”.

Il Maestro Munari, non solo realizza cicli di opere fino a poco prima della scomparsa (ricordiamo “Aconà biconbì”, “Alta tensione”, “Filipesi”), ma nel corso della sua carriera collabora con la prestigiosa rivista Domus, progetta elementi di arredamento e design industriale (impossibile non riconoscere la “Lampada Falkland” o il “Posacenere Cubo“), giocattoli (la scimmietta “Zizi“) e libri, pre grandi e piccini, che ancora oggi hanno un linguaggio incredibilmente innovativo.

Insignito di numerosi riconoscimenti compresi tre Compassi d’Oro (il più antico e prestigioso premio per il design industriale) rispettivamente nel 1954, 1955 e 1979, più un Compasso d’Oro alla carriera nel 1995, al Maestro Munari sono dedicate intere monografie. Noi sicuramente continueremo a parlare del suo grande nome, magari dedicando degli approfondimenti ad alcune sue opere.